[FIABE] La nascita degli Dei

Prima che tutto cominciasse c’era solo uno spazio tenebroso e vuoto: il Caos.
Il Caos non aveva avuto principio: mai. Durava da sempre, dall’eternità.
A un certo punto di quel tempo senza tempo, nel Caos apparve una divinità, una Dea dai larghi fianchi, Gea, la Terra; e dopo Gea apparve l’Amore, il Dio che addolcisce le anime; e dopo ancora apparvero l’Erebo, misteriosa divinità di quelle tenebre eterne, e la Notte, buia dea anch’essa misteriosa, ma tuttavia non più così cupa come l’Erebo.
Gea intanto procreava di sé stessa Urano, il cielo stellato, Ponto, il mare dalle onde sonanti, e le alte montagne.
Così ebbe origine l’universo.
Il giovine universo vide nascere i figli di Urano e di Gea, Dei primigeni: i dodici smisurati Titani, sei maschi, e sei femmine; i tre Ciclopi – Bronte, il tuono, Sterope, il lampo, Agre, la folgore – simili in tutto agli Dei, ma con un occhio solo nel mezzo della fronte; e i tre Ecatonchiri o Centimani, giganti mostruosi dalle cinquanta teste e dalle cento braccia.
Questi suoi figli Urano li guardava con orrore, forse anche li temeva: e via via che nascevano si affrettava a relegarli nelle più lontane profondità della terra. Ma Gea, la madre, li amava e ne piangeva la cieca sorte. Sdegnata, meditò la vendetta. Trasse da sé stessa quanto acciaio occorreva, foggiò un tagliente falcetto, armò la mano di Saturno, l’ultimo nato dei Titani, il più astuto e il più audace: e una notte Saturno colpì fieramente il padre, liberò dalla prigione sotterranea i Titani fratelli e proclamò l’avvento del proprio regno. Ai Ciclopi e ai Centimani non ridiede la libertà; facevano paura anche a lui.
Il sangue di Urano colò sulla terra, i brandelli della sua carne caddero nel mare; e dal sangue nacquero le Erinni, ossia le Furie vendicatrici, i Giganti armati di formidabili lance, e le ninfe Meliadi, protettrici dei frassini; I brandelli di carne mossero nel mare una bianca spuma e dalla bianca spuma emerse una Dea tutta giovane e bionda, bellissima, Venere Anadiomene, che il soffio innamorato di Zefiro sospinse alla divina isola di Citera e poi a Cipro coronata di flutti.
L’opera della creazione intanto continuava; dalle divinità primigenie altre divinità nascevano e da queste ancora altre divinità: e quali erano paurose come il Destino, la Morte, la Discordia, coi suoi tristi figli; la Pena, l’Oblio, la Fame, la Menzogna, l’Ingiustizia, le Battaglie, i Massacri; quali erano severe come Nemesi, la giustizia punitrice, la Saggezza, la Persuasione; quali enigmatiche come il Sonno col suo corteggio di Sogni, come le tre Parche, eterne filatrici che nell’atto della nascita assegnavano a ciascun uomo il suo bene e il suo male e la lunghezza della sua vita (e Cloto per ciascun uomo traeva dalla rocca lo stame, Lachesi ne determinava la misura, Atropo, con le inesorabili cesoie troncava il filo al punto destinato), come le terribili Gorgoni, che impietrivano chiunque le guardasse, e come le Graie, vecchie canute fin dalla nascita, le quali tutte e tre insieme, non possedevano che un solo occhio e un solo dente di cui si servivano a turno. E nascevano anche le divinità liete e luminose come i tremila Fiumi e le tremila Oceanine, e le cinquanta Nereidi, ed Elios, il Dio-Sole, e Selene, la Dea-Luna, ed Eos l’aurora, e Iride, la Dea dell’Arcobaleno, lieve messaggera dalla tunica fluttuante e dalle ali d’oro.
Su tutte queste e molte altre divinità, che reggevano a movevano le sorti e le passioni e davano vita e legge alla natura, Saturno, dopo di aver spodestato il padre regnava.
Regnava possente, ma non senza inquietudine. Egli aveva sposato Rea, figlia di Gea e di Urano, e da un oracolo gli era stato predetto che uno dei suoi figli lo avrebbe cacciato dal trono come egli dal trono aveva cacciato Urano, suo padre. Così Saturno viveva in sospetto e in timore, e di mano in mano che i suoi figli nascevano, non potendo, poiché erano immortali, distruggerli, li ingoiava.
Vesta. Cerere. Giunone. Plutone. Nettuno. cinque figli aveva già per tal modo tolti di mezzo, quando Rea, delusa e crucciata, sentendosi prossima a divenir madre ancora una volta, per consiglio dei suoi genitori si ritirò a Creta, in una profonda caverna del monte Ida e, come il nuovo bimbo le nacque, lasciandolo ben nascosto nell’antro, salì al cielo portando con sé una grossa pietra tutta ravvolta di fasce e la presentò al vorace marito: il quale immediatamente la trangugiò.
Giove, il bimbo divino, crebbe in quella caverna, sotto le dense foreste del monte. Le due figlie del re di Creta gli furono custodi; una capra – Amaltea, che egli poi, riconoscente, collocò nel cielo tra le costellazioni – lo nutrì del proprio latte e dell’ambrosia e del nettare fluenti dalle sue corna; primo balocco gli fu una sfera formata da cerchi d’oro; perché nessuno potesse trovarlo né in terra né in cielo, né in mare la sua culla d’oro veniva appesa ai rami di un albero; perché i suoi vagiti, salendo al cielo, non lo rivelassero all’ingordo Saturno, i Cureti, demoni e sacerdoti della terra, danzavano sulla soglia della caverna e intorno alla culla una danza di guerra percotendo con le lance e con le spade i loro scudi di bronzo.
Quando ebbe gli anni e la forza, Giove salì al cielo, si presentò al padre, lo costrinse a inghiottire un beveraggio che gli fece rendere alla luce la pietra e i cinque figliuoli trangugiati, poi lo sbalzò dal trono e iniziò il proprio regno.

Pubblicato da Blue Ylith

Sono solo un'ombra del bosco.